A Gloria del Gran Maestro dellUniverso e del Nostro Protettore San Teobaldo |
Adolfo Omodeo
L'ETA'DEL RISORGIMENTO ITALIANO
Ristampa della IV Edizione - Napoli, Vivarium, MCMXCVI
- DAL 1820 AL 1830 -
I. LA CARBONERIATorna a Materiali
La coordinazione delle aspirazioni liberali potè compiersi solo per mezzo di sètte segrete. Libertà di stampa e di associazione erano interdette dal regime assoluto.
Per tutto il '700 aveva prosperato in Europa la massoneria, o società dei liberi muratori, diffusasi dalle associazioni segrete dei giacobiti d'Inghilterra e di Scozia (fautori della dinastia degli Stuart). Miscuglio singolare d'umanitarismo razionalistico e di curiose formule mistiche neoplatoniche, essa cercava in parte di colmare il vuoto che l'irreligione del secolo lasciava negli animi. In realtà meglio faceva sentire quel vuoto : perché la sua religione non usciva fuori dalla mera formula, per ravvivarsi in vera religiosità sentita. Troppo viva era la preoccupazione di surrogare i riti cattolici : e si cadeva nella fredda imitazione. Vantava la massoneria origini antichissime : pretendeva di derivare dalle corporazioni dei maestri comacini del medio evo, o, più in su ancora, da Salomone costruttore del tempio di Gerusalemme. Simbolicamente si raffigurava intenta a costruire il tempio del grande Architetto dell'Universo. Iniziazioni scenografiche, suddivisione in diversi gradi, e gerarchia restringentesi in alto, pretesa di subordinazione assoluta perinde ac cadaver ai poteri superiori, rivelazione progressiva dei fini dell'associazione a chi ascendeva tra gli affiliati, insinuarsi di problemi concreti nell'ambito dei diversi paesi sotto le formule di una religione e d'una morale mistica illuminante: questa la fisionomia della sètta. Scomunicata dal papato, interdetta a più riprese dai governi, essa continuò a diffondersi : trovava adepti nelle classi elevate e perciò anche il modo di sfuggire alle repressioni.
La dottrina della sètta restava astratta e quasi sopramessa. Di sotto si svolgeva una vita varia secondo i paesi e gl'interessi : perché la massoneria consentiva di svolgere un'attività politica, d'influire negl'indirizzi della vita pubblica, di concertare accordi e di coordinare forze : cose tutte non lecite in regimi assoluti. In Inghilterra e in America, per lo sviluppo delle pubbliche libertà, la massoneria divenne una società di mutua assistenza : in Germania ebbe carattere mistico-fantastico unito ad uno spirito d'intrigo non inferiore a quello dei gesuiti : in Francia servì prima ai maneggi della politica di corte, poi influì oscuramente nel corso della rivoluzione, servendo agl'intrighi del duca d'Orléans : mentre un'ala, specialmente la massoneria di Parigi, era razionalista, un'altra, rappresentata dalla massoneria di Lione, era mistico-teosofica. A Napoli si compenetrò dello spirito riformatore della classe colta, e fomentò il fervore repubblicano della gioventù, e, fuor d'ogni dubbio, le vicende della massoneria napoletana sono le più gloriose di questa sètta. Sotto Napoleone essa non sfuggì al dominatore, che la rese istituzione quasi ufficiale sotto la direzione di suo fratello Giuseppe. Reclutò in grandissimo numero adepti fra gli ufficiali dell'esercito e i funzionar! dello stato; puntellò il nuovo regime, e spesso funzionò da polizia volontaria. Da tale appoggio ufficiale derivarono il suo progressivo discredito e la sua relativa eclissi nel periodo vivo del Risorgimento.
In concorrenza con la massoneria, e spesso in opposizione, si formarono altre sètte con riti e dottrine affini, pretesto a svariati atteggiamenti politici.
Una di queste sètte fu la carboneria. Diffusasi negli eserciti napoleonici, in Germania, Francia e Spagna, mise salde radici nel Napoletano ove fu introdotta dai ministri del Murat con la mira di combattere il partito borbonico. Ma s'imbevve ben presto delle idee liberali della classe, riformatrice, e passò all'opposizione, desiderando un regime costituzionale che il Mlurat riluttò a concederete concesse solo quando ormai tutto era perduto. La costituzione siciliana del 'i2 la fece per un momento inclinare verso i Borboni, ma poi essa riprese l'atteggiamento d'opposizione di fronte al restaurato regime assoluto.
Il simbolismo della sètta era ricavato dalla vita dei boscaioli : gl'iniziati si consideravano buoni cugini : le associazioni si dividevano gerarchicamente in baracche, vendite, vendite madri, alte vendite; gl'iniziati in apprendisti e maestri : ogni vendita era presieduta dalle tre luci. Ogni affiliato non conosceva altro che i superiori immediati della sua vendita a cui doveva cieca obbedienza. Un formulario religioso consacrava i solenni giuramenti che sancivano le più tremende vendette su chi si rendesse spergiuro. Cristo era considerato il primo carbonaro, san Teobaldo era il patrono della sètta.
La duplice avanzata dell'esercito del Murat nell'Italia centrale e settentrionale nel 1814-15 diffuse la carboneria nelle Marche e nelle Romagne, ove prosperò anche una sètta ad essa affine, detta dei guelfi, strettamente legata alla carboneria. Invece nel Piemonte e in Lombardia la sètta s'irradiò dai centri di Ginevra e di Parigi sede del a gran firmamento », in concorrenza con l'altra sètta liberale degli adelfi o filadelfi. La consociazione, in forma più libera da settarismo, delle tendenze liberali piemontesi diede origine al nome di federati. I federati lombardi, gravati dal peso dell'Austria, si orientarono per aiuto verso il Piemonte .
Non ostante gli scambi frequenti in tutte queste associazioni, l'unità di programma e la coordinazione degli sforzi non furono attuate, e la carboneria si colorì diversamente secondo le regioni. Facevano ostacolo all'unità d'intenti la segretezza diffidente e la difficoltà di aperte discussioni, tanto più che alla grande massa degli affiliati i fini supremi della sètta restavano occulti.
L'accorgimento necessario per la sicurezza nuoceva alla divulgazione e al consolidamento delle convinzioni. Inoltre un grave peso per la carboneria era la necessità di valersi, per opporsi alle sètte nemiche (calderari nel regno delle due Sicilie, concistoriali e sanfedisti nelle legazioni), di elementi torbidi pronti anche al sangue, e tali che dessero alla sètta la fama d'un misterioso e irresistibile potere. L'angusta visuale del settario e la mistica sopravalu-tazione delle forze Carbonare saranno causa, a loro volta, d'erronei apprezzamenti politici. L'azione settaria inevitabilmente in un primo momento doveva svolgersi corrompendo istituzioni e spirito pubblico. A questo inquinamento non sempre era sufficiente compenso l'elevatezza morale di molti dei capi.
Infiltrarsi negli uffici pubblici e nelle forze armate e poi impadronirsi del potere era la sua tattica. Si volevano ottenere i mezzi per esprimere i propri bisogni e per esercitare un'azione sulla cosa pubblica. Ma per l'educazione politica la sètta giovava poco. Ai seguaci si chiedeva ubbidienza passiva. Per loro uso si diffondevano programmi utopistici di costituzioni d'imperi e di repubbliche di stampo classico : come il presunto programma che i maggiori uomini d'Italia, riuniti a Torino, avrebbero trasmesso a Napoleone all'isola d'Elba, per la costituzione dell'impero romano su basi liberali, o lo statuto della repubblica ausonia presieduta da due consoli : miti più che programmi politici. Questa disciplina settaria troppo ricalcata su modelli gesuitici nuoceva alla formazione di uomini liberi. La devozione alla sètta si svolgeva a detrimento della devozione alla patria. E poi, senza che i carbonari se ne accorgessero, e senza che volessero fare politica di classe, essi agivano troppo in dipendenza da bisogni, da ideali e da interessi della classe borghese. Da ciò l'angustia un po' gretta che rimproverava loro il Mazzini e gli scarsi echi che suscitavano nel popolo. A differenza però dalla massoneria, essi non combattevano la religione, e cercavano di assimilarla, e non pochi preti e frati entrarono nelle vendite.
Nel Napoletano, il 1816, la carboneria la spuntò, con la caduta del Canosa, nella lotta contro i calderari suscitati da quel ministro contro di lei. Per la fiacchezza del governo la sètta si diffuse rapidamente assorbendo molti uomini del regime murattiano, moltissimi ufficiali e sottufficiali dell'esercito, e molti impiegati.
Il suo capo, il generale Guglielmo Pepe, reprimendo il brigantaggio nei territori d'Avelline e Foggia, la diffuse fra le milizie provinciali che si costituivano per la sicurezza pubblica. Presto la carboneria fu considerata da molti come patronato efficace per la tutela propria e dei propri beni nella insicurezza generale. L'opportunismo si mescolò all'idealismo della sètta, e i « buoni cugini » ascesero nell'Italia meridionale a parecchie diecine di migliaia.
Nella situazione generale urgeva sollevare lo stato dal marasma, riprendere la tradizione riformatrice, consolidare irrevocabilmente le riforme del decennio. Perciò la richiesta della costituzione ricapitolò tutti questi desideri. Il problema dell'indipendenza fu trattato sì, ma rimase più sullo sfondo : si parlò anche d'una nuova federazione fra gli stati d'Italia, ma vagamente.
Negli stati pontinci invece, il punto capitale di carbonari e guelfi era di liberarsi dal governo teocratico ad ogni modo e con qualunque mezzo : o aggregandosi a uno dei ducati padani, o ponendosi sotto un altro arciduca austriaco, o, perfino, dandosi all'Austria : che per lo meno avrebbe assicurato un governo civile. E pare che in tali maneggi non fossero del tutto estranei agenti del Metter-nich, dolente di non aver potuto annettere le legazioni. Un tentativo insurrezionale a Macerata nel 1817 fornì pretesto ad aspre repressioni, e aperse un'accanita e sanguinosa lotta di fazioni che non si quetò se non col trionfo della causa italiana.
Invece, come abbiam veduto, il problema dell'indipendenza grandeggiava nel Piemonte e nella Lombardia. Una forte monarchia costituzionale sotto la casa di Savoia e l'ingrandimento dello stato nella valle padana erano le più vive aspirazioni. Tale forte stato doveva, secondo un'antica ispirazione machiavellica, essere il custode dell'indipendenza italiana. Già balenava l'idea della subordinazione di tutti gli stati italiani all'egemonia del Piemonte, sempre in forma più o meno federale. Sfuggiva però, a coloro che accarezzavano quest'idea, che con lo sviluppo del Piemonte nell'Italia settentrionale si sarebbe turbato l'equilibrio fra gli stati italiani, i quali, piegati sotto l'influenza austriaca per forza ineluttabile, si sarebbero opposti all'ascensione di uno stato minore, loro pari, e si sarebbe riaccesa la rivalità regionale che già aveva contribuito non poco alla fine del regno italico. La repugnanza di Genova all'unione col Piemonte, della Sicilia all'unità accentrata in Napoli, mostravano per chiari segni quanto fossero difficili le unificazioni parziali. Bisognerà arrivare al Mazzini perché un'unificazione totale in una comune fede nazionale fosse avanzata (e fu ritenuta utopia) come primo fondamento del risorgimento d'Italia.
Da tutto ciò appar chiaro che il movimento meridionale e quello settentrionale non potevano fondersi. Anzi fu molto se per circostanze speciali non vennero ad urtarsi, perché mai il regno meridionale, anche se gli fosse stato consentito d'espandersi nei territori pontifici, avrebbe potuto raggiungere ingrandimenti tali da equilibrare quelli che avrebbe avuto il Piemonte se avesse cacciato l'Austria dall'Italia. Ma, a sua volta, cacciar l'Austria era compito così arduo che avrebbe richiesto non solo le forze di tutta Italia, ma una profondissima fiducia reciproca e una salda fede in un programma comune.
Tutto ciò i carbonari e federati non lo videro, e forse fu fortuna, perché vedendo in tutta la sua difficoltà il problema si sarebbero scoraggiati, e sarebbero forse caduti in quello scetticismo nei destini d'Italia in cui si logorò tutta la superstite generazione napoleonica, e di cui è esempio famoso il Foscolo esule; in quello scetticismo politico in cui si spensero ben presto gli ardori giovanili del Leopardi.
Videro invece il problema angustamente nella loro regione. I carbonari napoletani si sentivano capaci di afferrare il predominio nel Napoletano, e non pensarono ad altro : se la rivoluzione fosse capace d'inquadrarsi nel regime vigente in Europa, se la scossa rivoluzionaria potesse rompere l'unione fra la Sicilia e Napoli.
Invece i federati piemontesi, convinti che il loro programma coincideva con quello della monarchia, si preoccuparono esclusivamente di trascinare nel loro indirizzo qualche principe di casa Savoia, e sognavano di rinnovare contro l'Austria le guerre di Carlo Emanuele contro l'egemonia spagnuola.
Le loro mire si concentrarono sul principe Carlo Alberto di Savoia Carignano, erede presuntivo del trono, perché né il re Vittorio Emanuele né suo fratello Carlo Felice avevano prole maschile. Nato nel 1798 da un ramo dei Savoia che aveva aderito al regime napoleonico, il principe Carlo Alberto era stato educato a Parigi e a Ginevra, e giovanetto appena sedicenne era stato nominato da Napoleone tenente dei dragoni.
Ritornati i Savoia sul trono, egli fece atto di lealtà e ottenne che fosse riconosciuto il suo diritto alla successione, che credeva insidiato dal Metternich.
II giovanetto, avvezzo a più libera vita, intristì nella corte bigotta e reazionaria di Vittorio Emanuele I e si trovò presto in disaccordo col rigido Carlo Felice. Ma a conati d'indipendenza e di ribellione, si frammischiavano profondi momenti di abbattimento, sospetto e sfiducia negli uomini, apatia che si complicava con crisi religiose. Poi si risollevava a speranze luminose di grandi e nobili imprese, e, quasi avesse compiuto le sognate imprese memorande, s'avventurava ad aspri e sarcastici giudizi su tutto e su tutti creandosi grandi inimicizie, e suscitando nei liberali l'illusione ch'egli fosse più pronto all'azione, di quanto realmente era.
Su questo principe così incerto poggiarono le loro speranze i federati e il loro capo, l'animo generoso e ardente di Santorre di Santarosa.
Alla prova dei fatti i piani dei liberali si mostrarono debolissimi. Ma sul loro crollo si disfrenò la reazione, ed essi, trovandosi ormai compromessi, furono costretti ad elevare successivamente gli animi al compito arduo, e a giovarsi degli errori come di utile scuola d'esperienza.
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