A Gloria del Gran Maestro dell’Universo e del Nostro Protettore San Teobaldo

Carlo Alberto di Savoia-Carignano, 1817

IL RE DEI CARBONARI
di Giovanni Pascoli

 

Torna a Materiali

I

Nella foresta murmuri notturni:
breve nel buio balenìo di luci.
Forse non son che lucciole e che gufi:
gufi con gli occhi tondi ne' lor buchi.
O non son essi. Vanno attorno i lupi
con passi sordi sulle felci e i muschi.
O forse vanno per la solitudine
anacoreti con lor pii sussurri.
Bussano andando i cavi tronchi duri,
che ognun si scosti e qua o là s'occulti.
No: sono boscaioli con le scuri,
così lontani che gli ansiti lunghi
e i grandi colpi sembrano minuti
picchi di picchi e singultìo di chiù.

II

Il fuoco dorme in mezzo alla foresta
nella sua piazza. Dai cagnoli il fuoco
occhieggia e guizza. Ma di foglie mista
la terra chiude la fumante bocca.
Il fuoco è dentro: inconsumabile arde.
Nelle baracche, cui di frondi è il tetto,
i carbonari dalle lunghe barbe
su tronchi assisi, vegliano, tenendo
la scure in mano. Una lucerna brilla
sul maggior tronco con le sue tre fiamme.
Il gran maestro alza le mani al Santo
e intuona il canto nel silenzio sacro:

III

- Oh! questa è gioia, questo al mondo è bene,
in un sol luogo dimorar fratelli.

È come unguento sparso sui capelli,
che piove giù dal capo sulla barba.

È come unguento scorso sulla barba,
che scorre, e bagna l'orlo della veste.

Come sereno piovere celeste,
come rugiada che vien giù dal cielo;

rugiada che discende dal Carmelo,
discende ai colli, e poi da' colli al piano.

Ché Dio segnò quei luoghi di sua mano,
e vita avranno fin che secol duri.

E voi le mani alzate con le scuri
stando nell'atrio, in cuor pensosi e pronti.

La notte cade. Luce è già sui monti.
Le scuri alzate contro il dì che viene. -

IV

Il gran maestro con la scure il tronco
batte tre volte. Grave parla, e dice:
«Udite, o nati da fratelli. All'uscio
d'una baracca uno picchiò notturno.
Era smarrito tra la notte e il nembo,
nella foresta. Vide il fuoco in una
radura, acceso. Vide le tre luci
nella capanna. Entrò. Giovane e bello
era, coi segni del dolore in fronte.
Era un'errante zingara sua madre.
Per lunghe strade lo traea fanciullo
meditabondo. Sempre gli occhi al cielo
teneva, fissi, per vedere un astro,
che non sorgeva. E nel suo cuore il sangue
del Conte Verde era e del Conte Rosso.
Re, per destino, egli sarà dei monti;
ma noi l'ungemmo re della foresta.
Contro lui geme ed ulula il lupatto
dell'Apennino, e l'aquila a due rostri
lo spia dall'alto senza muover l'ale,
tacita, intenta. Ma il re nostro un giorno
trarrà la spada, leverà lo scudo,
ché Dio lo vuole, con la bianca croce,
mettendo in fuga tutti i lupi e i gufi,
allor che la grande aquila ferita.
trasvolerà, rauca strillando, l'Alpi.»

V

- O Carbonari, uscite dalle porte
dell'acque, con le accette sulle spalle.

Uscite al monte, andate nella valle,
tagliate rami verdi d'oleastro.

Recate ognuno frondi d'oleastro,
rami di mirto, calami di canna.

Fatevi, come è scritto, una capanna,
un vostro asilo tacito e selvaggio.

Una capanna, usciti di servaggio,
fate di rami d'acero e di pino;

ove beviate in pace il dolce vino
e vi cibiate della pingue carne.

Ma la sua parte niuno oblii mandarne,
a chi non n'ha, ché questo è il giorno santo.

E lieti siate, ed obliate il pianto.
Gioia è di Dio che il cuore ci fa forte. -

VI

Così celati aspetteranno il giorno
d'andare incontro al gentil re crociato.
Libereranno dalle piote arsite
allor la bocca, e il carbon nero al vento
prenderà fuoco e brillerà sul filo
di mille scuri, e da quel fuoco il fumo
a grandi spire salirà nel cielo.
Nero il vessillo come carbon nero,
e rosso e azzurro come fuoco e fumo,
sia nelle vostre mani, o boscaiuoli,
o taglialegne nati da fratelli,
o carbonari, avanti al re che viene!

VII

Passano intanto i carbonati occulti
la notte, alzando le due mani ai puri
astri del cielo, tra gli scabri fusti
d'annose quercie, nei romani luchi.
Gittano sangue al lor passaggio i pruni,
scrosciano foglie, fischiano virgulti.
Sotterra il fuoco hanno sepolto muti,
siccome seme gli aratori ignudi.
Germinerà. Nei taciti interlunii,
chiusi nei tabernacoli fronzuti,
pensano al re fanciullo, che tra i lupi
ignaro passa, che di tra le nubi
l'aquila veglia, e piomba già su lui
stringendo sempre il nero volo più.

 


Torna a Materiali